Il mestiere del carbonaio a Solicchiata nei tempi passati

 

 

  

U Fusuni

 

 Fino a pochi decenni addietro, nel territorio di Solicchiata frazione di Castiglione di Sicilia si consumava molto carbone per il riscaldamento domestico, e nei boschi Etnei del comune se ne produceva a tonnellate. I carbonai di una volta erano uomini che vivevano per la maggior parte dell'anno fra i boschi  a tagliare ed a produrre carbone di legna. Il mestiere del carbonaio era duro e pericoloso: in mezzo a esalazioni venefiche doveva controllare costantemente l’andamento della combustione. I boscaioli tagliavano gli alberi che venivano fatti a pezzi di almeno un metro e venti di lunghezza per poterli sistemare bene nella costruzione du   “fussuni  di carbuni” (carbonaia). Per comporre una “u fussuni di carbuni” occorreva una quantità considerevole di legna, comunque non inferiore  ai trecento quintali (bisogna tenere presente che solo un quinto del peso della legna si trasformava in carbone). Il diametro generalmente era di quattro o cinque metri per un altezza di due-tre metri. Si cominciava  mettendo i tronchi  in piedi, obliqui verso l’interno, con andamento circolare, con la cura di lasciare il minimo spazio tra legno e legno e si girava attorno, accatastando legna su legna  fino a raggiungere la grandezza base. Dopo di che si ricominciava di sopra a costruire il secondo piano. Al centro, dalla base all’apice, si lasciava un piccolo buco per l’accensione del fuoco “buca”. A questo punto si procedeva alla copertura con paglia,  felce  e uno strato  di zolle di terra bagnata  “ camicia” in modo che la legna rimanesse imprigionata in una corazza di terra e il calore compresso la bruciasse senza sbriciolarla. U “fussuni” veniva acceso gettando  della brace dalla buca, poi si chiudeva con una pietra piatta. Lungo tutta la struttura, altezza di trenta centimetri circa, si praticavano dei fori ogni metro per far si che quando il fuoco bruciava l’aria avesse la possibilità di giocare dentro. Nei giorni successivi, il carbonaio seguiva passo passo la “distillazione” del legname, egli doveva infatti limitare il tiraggio, assicurandosi che la combustione non prendeva piede e che non si formavano crepe nella camicia. Come è facilmente comprensibile infatti, il segreto della buona riuscita del carbone risiedeva  nell’instaurazione della combustione anaerobica, non occorre certo un falò. La distillazione avveniva di solito tra il secondo e quarto giorno (o notte, il carbonaio non ha infatti orari) ed era facilmente riconoscibile attraverso l’emissione di un fumo azzurrognolo. A questo punto, occorreva praticare dei fori tutt’intorno al cono, con l’obiettivo di carbonizzare anche gli strati inferiori della catasta.  La legna “cotta” rimaneva in piede, intatta, e, alla fine, dovevano essere i carbonai stessi a fare in pezzi tutto. Tuttavia non sempre, come in ogni cosa, tutto filava per il verso giusto. Il vento, la pioggia ed altri fenomeni atmosferici potevano provocare danni irreparabili se non si stava con gli occhi ben aperti a tenere continuamente tutto sotto controllo. A volte, per gioco delle correnti d’aria, poteva accadere che in un lato qualsiasi la legna bruciasse più velocemente e provocasse l’apertura di una falla. Questa  andava riparata immediatamente con pezzi di legna corti. Conclusa la cottura, il carbonaio, toglieva le zolle di terra, e gli  gettava terra fresca lasciando che si raffreddasse per circa 12 ore.  All’alba iniziava il vero “sforno”, procedendo con cautela, verso il cuore della catasta, facendo attenzione a non rompere i legni carbonizzati. La sfornatura assomigliava ad uno spettacolo da tragedia: fumo denso, odore acre, cigolio di tizzi e brace luminescente. L’ultimo passaggio del duro lavoro del carbonaio era nel suddividere il carbone in varie pezzature e poi riempire i vari sacchi. Solo cosi dopo giorni e giorni di dura fatica e di apprensioni, il carbonaio poteva  finalmente ammirare il frutto del suo duro lavoro

                                                                                                                                                                              Gaetano Bonaventura